Ore 11.12. Alla Moschea di Baku, entrata degli uomini. Entriamo, uomini e donne dalla stessa porta, ma Cristina deve mettere un velo in testa. Non è questione di integralismo, è questione di rispetto del luogo dove stai entrando. Varcata la porta d’ingresso, si accede ad una sala abbastanza buia, le cui finestre hanno una vetratura colorata che fa passare della luce, che colpisce la struttura interna alla stanza, un parallelepipedo d’oro, argento e placche di ceramica bianca e blu. La ceramica ha ricevuto un particolare trattamento che la rende come fosse smaltata. E’ una struttura simile a quella dove, alla Mecca, viene conservata la pietra nera.

L’argento è finemente cesellato, modellato come colonne tornite e grate, dai cui fori si può vedere all’interno della struttura. Le pareti sono ricoperte da mattonelline di vetro di Murano verde, pien oi punti di luce simili a pagliuzze di metallo.

Mentre siamo all’interno, entrano alcune donne, che iniziano una preghiera ggirando i nsenso antiorario, con le mani e le braccia alzate a forma di abbraccio, intorno alla truttura, fermandosi di tanto in tanto, per toccareo  baciare il metallo. La sensazione che ti da questo posto e’ difficile da descrivere: all’inizio un gran senso di rispetto, voler mantenere il silenzio sacro del luogo.

La moschea è stata ultimata nel 2008, dopo he sotto la dominazioe sovietica era stata abbattuta, ed è’ un’esplosione di luce, di fuori, all’aperto, con il sole che picchia sulle pietre color sabbia.

Nella Moschea ho sentito l’impulso di inginocchiarmi, per il rispetto che devo al luogo. Poi ho pensato che potesse essere male interpretato. Questo è l’atteggiamento che senti di dover tenere in questi luoghi, al di là di tutto quello che puoi sentire attraverso televisioni e internet. È il rispetto che devi ad una persona che, nel rispetto degli altri, esprime liberamente la propria personalità.

Ore 20.12. Sperimentiamo il nostro quarto d”ora di popolarità sfrenata, carosellando per il lungomare di Baku. Ci stiamo rendendo conto di cosa vuol dire aver frotte di fans che ti chiedono una foto. Abbiamo fatto scatti con metà della popolazione azera che rientra nel range dagli 0 ai 20 anni.

Ore 3.36. Non so più che ore sono, non so dove sono e non so perché ci sono. Mi sento incredibilmente rilassato, svuotato di tutto.

Ore 4.07. Al Press Center, mentre starebbe per cominciare la Conferenza Stampa di Loreen. Con Cristina e Vasco, davanti al computer, e Alessandro in sala per la conferenza. Adesso provo a recuperare tutti i pensieri. Non mi vergogno a dire che all’esibizione di Ott Lepland ho pianto. Quel ragazzo è stato in grado, con la sua voce, di comunicarmi un’emozione mai sentita prima. E’ una stretta che ti prende allo stomaco, risale per il petto e sfocia nelle narici, e all’acuto di Ott mi sono lasciato andare e ho vissuto l’emozione fino in fondo. Per il resto, da quando ho cominciato a seguire l’Eurovision, so che le canzoni che preferisco non vincono mai, e ho sempre usato l’Eurovision come mezzo per ascoltare bella musica diversa dal solito. È evidente che faccia anche piacere vincere, ma va tenuto anche in conto che l’Eurovision è una grande carrellata di musica europea, dove pescare di volta in volta la canzone che preferisci. E, per concludere, direi che è il momento dei  ringraziamenti: il primo ringraziamento ai miei compagni di viaggio, Cristina, Alessandro, Enzo e David, che hanno condiviso con me questo viaggio. Un ringraziamento agli amici che, tra il Press Center e l’organizzazione, ho potuto conoscere, o conoscere meglio, un ringraziamento all’amico Mamed che mi ha dato quei consigli sulla musica azera e che mi ha fatto piacere di conoscere di persona, e spero di poter incontrare a settembre a Roma. Un ringraziamento al popolo azero, che con la sua ospitalità e gentilezza ha reso questa nostra vacanza un momento bellissimo della mia vita. Un ringraziamento alla guida che, sul Viale dei Martiri, mi ha raccontato la storia del Gennaio Nero. E un ringraziamento a Ott Lepland, che con la sua canzone è stato capace di toccarmi il cuore nel profondo. E in più, per concludere, ragazzo azero di cui non so neanche il nome, rimarrà il rammarico di non averti potuto conoscere meglio.