Ore 13.54. Nella Lounge Press Room becchiamo i Freaky Fortune, con un’espressione sul viso da chi si è svegliato da cinque minuti. Accanto a loro Risky Kidd che addenta un tramezzino. Uno scambio di occhiate e ci intendiamo. Mi allontano indietreggiando piano per evitare di essere ucciso. Appuntamento rimandato.

Ore 15.07. Vedo quel gesto, il braccio teso e la mano aperta, prona ma ferma e decisa, per fermare l’istinto animale di lui. Fermati! Stavolta no! E tua sorella, tua madre, tuo figlio adolescente sono lì, a proteggersi dietro il tuo braccio forte, perché sei l’unica speranza e l’unica possibilità che si frappone tra loro e la violenza.

Nell’attesa della conferenza stampa di Emma ho rivisto, dal canale Youtube ufficiale dell’Eurovision, il video della prova di Andras Kallay-Sanders. Già da quando è stato scelto a rappresentare l‘Ungheria si è parlato del tema forte della sua canzone, la violenza domestica. Il testo è capace di emozionarti con la ripetizione continua e ossessiva della parola “cries”, e della parola “why”. “Papà, perché?”. E insieme tieni due parole, la più dolce e la più impaurita. Poi ha girato il video, e la sequenza dela ballerina con la maschera bianca è più che toccante: lo scuotimento interno e la violenza esterna sublimati nell’anonimato di un volto senza tratti. E adesso la seconda prova. Andras è sul palco e canta. Ha provato con una maglietta nera e poi con un giaccone felpato nero. Quando si alza dalla sedia sul palco e comincia a camminare, la pianista diventa ballerina e rapprresenta la bambina, inseguita sul palco dal padre, un altro ballerino. Si rincorrono in un crescendo fino all’ultimo ritornello e sull’ultima nota l’ultima inquadratura vede la ballerina bambina con un abito bianco che si nasconde dietro Andras, toccandogli il tricipite del braccio, e Andras che tende l’altro braccio e la mano a tener lontano da lei il ballerino padre.

15.58 Emma è molto diretta. Sarà la conoscenza dell’inglese che ancora la porta ad utilizzare poche parole chiare, ma nella sua spontaneità ti rende orgoglioso del tuo Paese. Noi siamo venuti per vincere. Ha avuto il coraggio, fuori da tutte le ipocrisie, di dire “Io voglio vincere”.

17.04 Da non credere! Sono apparso in televisione! In Press Lounge c’erano Filippo Solibello e Marco Ademagni, pronti per un collegamento con Quelli che il calcio… , allora Eddy è venuto a chiamarci per creare l’ambiente, con le bandiere italiane. Allora siamo arrivati e ci siamo messi tutti intorno a Marco Ardemagni, circondandolo con il bandierone che ci eravamo portati al Press Centre.

18.18 Arrivati in ritardo al Red Carpet, siamo comunque riusciti a veder passare quasi tutti. Abbiamo salutato Hersi (Albania), brava ragazza che studia canto a Roma, a Santa Cecilia; e poi Valentina Monetta, e Emma Marrone, ma poi anche i Firelight di Malta e Tijana Dapcevic. E, in ordine sparso, abbiamo visto anche tutti gli altri. La cosa più curiosa è che dopo averli visti in tutte queste situazioni diverse, ai concerti, in sala stampa, nelle interviste, e vedendoteli sfilare davanti uno per uno, vorresti che potessero passare tutti in finale, perché ognuno, nel suo piccolo, porta un contributo artistico alla riuscita del festival. C’è la grande canzone, la grande voce, il favorito e la favorita, i gruppi e i singoli, gli originali e gli stravaganti, ma anche loro portano colore, e a loro modo arte come espressione umana, nel disegno complessivo dell’Eurovision Song Contest.

23.00. Alla Festa di apertura, all’EuroClub, stasera, finito il ricevimento solo per delegazioni, vari cantanti ci hanno raggiunto. C’era Conchita Wurst, che non abbiamo precisamente incontrato, ma ci ha emozionato cantando Rise like a phoenix, ma anche coverando Cher e Céline Dion (My heart will go on). E poi Hersi Matmuja, che oltre a One night’s anger, ha rifatto The imagie of you (Albania 2005 – Anjeza Shaini) e Witney Huston (I will always love you). E poi abbiamo inseguito SebAlter per tutto il Club, senza però riuscire a fermarlo, e poi, mentre stavo davanti al palco a sentire la piccola Hersi, mi giro un attimo senza un particolare motivo, e mi ritrovo accanto a Risky Kidd, con la stessa espressione allegra che aveva in sala stampa. Forse è la sua espressione normale. Comunque hanno cantato anche loro, anche se cantare non è il verbo che si addice. Il verbo più giusto è probabilmente “buttarla in caciara”, come è necessario per fare l’Eurovision che alcuni cantanti facciano.

E naturalmente abbiamo incontrato entrambi gli host delle serate all’EuroClub, DQ (Danimarca 2007 – DQ), e Tim Schou (A friend in London, New tomorrow, Danimarca 2011), che non pensavo fosse così basso, nel senso che è alto quanto me.