Continuiamo a festeggiare i 10 anni del nostro sito e, per farlo, abbiamo chiesto a Cristina Giuntini di raccontarci si suoi ricordi legati all’Eurovision Song Contest. Per i fan dell’evento, Cristina non ha bisogno di presentazioni, ma per coloro che non fossero così addentro al mondo eurovisivo, ricordiamo che Cristina Giuntini è una fan storica del concorso e presidentessa della branca italiana del club OGAE (Organizzazione Generale Amatori Eurovisione).
La ringraziamo per la disponibilità e vi lasciamo ai suoi ricordi.
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C’era una volta una bambina che amava la musica. Ma proprio tutta la musica.
Aveva un mangiadischi che suonava i 45 giri dei Beatles come le canzoncine di Biancaneve e Cenerentola. Si fermava stupita ad ascoltare le note di Verdi o di Wagner, anche se il suono che proveniva da quelle casse enormi, di là in salotto, le faceva un po’ paura. Davanti alla televisione, si soffermava su tutto ciò che suonava o cantava, si trattasse dello Zecchino d’Oro o di un concerto per arpa celtica e flauto traverso.
Una sera, quella bambina arrivò in salotto e si fermò davanti al televisore acceso.
“Che cos’è?” chiese al babbo che se ne stava sprofondato in poltrona.
“L’Eurofestival” rispose il babbo con aria ovvia.
“E che cos’è l’Eurofestival?” chiese ancora la bambina sgranando gli occhi.
“È il Festival di Sanremo europeo” rispose il babbo. “Ogni Paese manda la sua canzone, nella sua lingua, e si sceglie il vincitore”.
“Ogni Paese? Anche l’Inghilterra, l’Olanda, la Francia… Anche noi?”
“Certo”, rispose il babbo, “anche noi”.
La bambina sgranò ancora di più gli occhioni neri. Poi si sedette anche lei davanti al televisore, ascoltando parole in una lingua sconosciuta, che solo la musica rendeva perfettamente comprensibili.
E da quella sera s’innamorò.
Ho pensato di iniziare così, condividendo anche con voi questa breve favoletta che una sera ho scritto di getto nel mio status di Facebook. Ho voluto farlo perché in realtà non è una favola, ma la pura verità, e parla di come per me è iniziata un’epoca: l’epoca eurovisiva, quella in cui “prima viene Sanremo, poi l’Eurofestival”, quella in cui tutta la famiglia si sedeva davanti al televisore e ascoltava il canto dell’Europa. La mamma apprezzava Anna Vissi, il babbo si innamorava della canzone di Maxi e Chris Garten, la nonna si commuoveva con Nathalie Pȃque. Una serata nella quale il piccolo universo casalingo apriva le porte a cento, mille altri universi nascosti nelle case francesi, spagnole, danesi, che vivevano insieme la stessa emozione.
Poi sono arrivati gli anni di buio. Dopo l’emozione del 1997, con i Jalisse che ci avevano portati quasi alla vittoria, l’Italia ha mollato. L’anno seguente abbiamo potuto comunque seguire la manifestazione su France2, poi anche la Francia ha passato il tutto sul terzo canale. È stato l’oblio totale, a parte qualche trafiletto occasionale nella sezione spettacolo dei giornali, con l’annuncio del vincitore. Almeno musicalmente, eravamo chiusi fuori dall’Europa.
Lo spiraglio, per me, si è aperto ad Aprile del 2001, quando mi sono finalmente collegata a internet. Ci credereste? La mia primissima curiosità è stata andare a vedere se l’Eurovision esistesse ancora. Che gioia trovare addirittura un sito ufficiale, dove poter ascoltare le canzoni in gara! Sono subito corsa ad ascoltare la Spagna, sempre fra le mie preferite: Dile que la quiero di David Civera non mi ha certo delusa. Poi mi sono diretta su Malta, incuriosita, visto che l’anno precedente avevo lasciato il cuore fra Sliema e St. Julian’s. La canzone era Another summer night di Fabrizio Faniello. Non chiedetemi perché, ma QUELLO è stato il momento in cui mi sono innamorata di nuovo dell’Eurovision.
In Italia, però, mi sentivo sola. Gelosi custodi della propria tradizione musicale o fanatici esterofili validi solo per i Paesi anglofoni, gli italiani inorridivano solo al sentir parlare di canzoni croate o cipriote. Ma ancora una volta devo dire grazie a internet, che mi ha avvicinata ai ragazzi di OGAE Italy, con i quali ho iniziato un percorso eurovisivo che continua ancora adesso, prima come semplice fan, poi come presidente e un po’ anche come “addetta ai lavori”!
Se ci penso, l’Eurovision è cambiato davvero molto, in questi dieci anni. Non solo in quanto a stile dei brani presentati, che pian piano si sono evoluti da innocue canzoncine un poco “datate” a vere e proprie hit internazionali, abbracciando quasi tutti gli stili della musica, ma anche per la manifestazione stessa, che è giunta a essere veramente l’evento internazionale dell’anno, superato solo da manifestazioni sportive. Le sue porte si sono aperte accogliendo sempre nuovi Paesi partecipanti, mentre le città ospitanti hanno iniziato a fare a gara per organizzare sempre più eventi collaterali dedicati ai fans e ai cittadini. La stampa internazionale ha cominciato a interessarsene ogni anno in maggior misura, presto supportata anche dai vari siti specializzati, blog, fanpage di ogni tipo, e, ovviamente, da radio e TV.
Nel 2004, però, in Italia, per noi fans, un misero trafiletto che desse la sommaria notizia del Paese vincitore era ancora un avvenimento. Mentre l’Eurovision, a Istanbul, faceva ancora un importante passo avanti introducendo la semifinale, per evitare di condizionare la partecipazione dei Paesi al loro risultato dell’anno precedente, noi di OGAE Italy eravamo ancora un circolo ristretto, che si riuniva nello storico cinema di Livorno per vedere insieme la finale.
Nel 2006, ci hanno pensato i Lordi a dare una salutare scrollata al contest, questa volta in senso stilistico, dimostrando che, per vincere, non è necessaria la solita canzoncina orecchiabile, ma che qualsiasi genere può non solo avere accesso all’Eurovision, ma anche raccogliere successo. Da allora in poi, niente è stato più uguale a prima: i Lordi hanno sdoganato non solo l’hard rock, ma anche il jazz, lo swing, il funky, la lirica, insomma, tutto ciò che era “diverso” e che, prima di loro, veniva posizionato lì, al margine, senza grandi speranze di un buon piazzamento.
È stato anche con questo rinnovato entusiasmo che, l’anno seguente, ho finalmente affrontato la mia prima esperienza eurovisiva dal vivo. Da semplice spettatrice, senza accesso alla sala stampa, senza esperienza dell’ambiente e delle possibilità che poteva offrire, ma è stato ugualmente un punto di svolta, per me. L’Eurovision visto “dall’altra parte”, non più con la mediazione di uno schermo televisivo, mi è sembrata una delle più belle avventure che si potessero affrontare. Ho visto una città piena di voci, di colori, di allegria, come probabilmente non si vede di solito. Mi sembrava un enorme parco di divertimenti, con l’Eurovision a farla da padrona ovunque!
È proprio, secondo me, in questo spirito di festa collettiva che l’anno seguente sono state introdotte le due semifinali: un passo importantissimo, proprio nell’anno in cui abbiamo assistito al debutto di San Marino. Una boccata d’aria fresca per noi fans italiani, che ci siamo subito affezionati al Paese del Monte Titano, diventando tutti un poco sammarinesi onorari.
Non sapevamo, però, quello che ci aspettava al varco, e che sarebbe successo solo tre anni dopo: l’improvviso, inaspettato ritorno dell’Italia in gara. È stato lì che per noi è davvero cambiato tutto. Da semplici spettatori, simpatizzanti, ma sempre un poco “ai margini”, siamo diventati protagonisti, con un rappresentante da sostenere, dentro al gioco come gli altri! È stata una reazione a catena che ci ha portati ai contatti con la RAI, alle feste con i protagonisti eurovisivi, al lavoro su di un sito completamente nuovo, al contatto diretto con i protagonisti. Il rientro in gara dell’Italia ci ha dato l’impulso a iniziare un processo di vera crescita che non è ancora finito, e che forse non lo sarà mai.
Ripercorrendo questi ultimi dieci anni, mi rendo conto di come l’ESC sia in continua evoluzione. Quello che ho via via percepito è stata la crescente apertura, il sempre maggiore coinvolgimento del maggior numero di Paesi possibile, ma anche dei singoli fans e dei semplici spettatori, così come degli abitanti della città che lo ospita. Non si parla più di una semplice manifestazione canora internazionale, ma di una vera e propria festa che ogni anno riscuote interesse crescente da parte di ogni nazione del mondo. I teatri che ospitavano le vecchie edizioni sono stati via via sostituiti dalle arene e dai palasport, e ogni anno i biglietti per la finale vanno esauriti a poche ore dalla loro messa in vendita. E’ da tempo una realtà la produzione di CD, DVD, gadget di ogni tipo, anche se i fans preferiscono la famigerata “caccia al promo”. Sempre più siti specializzati divulgano notizie, anticipazioni, interviste con i protagonisti. Uno scenario da far girare la testa, quasi inimmaginabile fino a pochi anni fa. Chissà se Lys Assia, nel 1956, avrebbe mai previsto tutto questo.
È vero, a dirla così sembra quasi che il nostro amato festival si sia trasformato principalmente in un business, trascendendo il senso di condivisione che l’ha generato, quasi 60 anni fa. Magari in parte è anche così… ma vi basterà vedere un gruppo di fans irlandesi che saltella a ritmo di Opa! o un portoghese che incespica nel testo di Molitva per capire che il cuore dell’Eurovision, in tutti questi anni, non è cambiato proprio per niente.
Per fortuna!
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