Torna anche quest’anno il nostro diario dedicato alla città che ospita l’Eurovision Song Contest. Aneddoti, curiosità, informazioni e incontri direttamente da Lisbona, la capitale del Portogallo.
Natura morta (Stampa in attesa delle interviste), carne e ossa su moquettes, Lisbona, 2018.
Oggi, al piano terra dello Interviewing point, abbiamo ceduto, e al primo che, esasperato dalle attese sempre lunghe e in condizioni non ottimali, s’è seduto, tutti gli altri lo hanno imitato.
In alternativa, stiamo facendo un gioco. C’era qualcuno che suggeriva di imitare Peach Perfect, ripetendone le percussioni. Più opportunamente, c’era qualcun altro che suggeriva di iniziare a cantare canzoni dell’Eurovision a caso, e chi indovina qual è vince un punto.
Come terza alternativa, potrebbe essere invece che stiamo scioperando, facendo un sit-in, per chiedere il riconoscimento e il rispetto dei diritti umani fondamentali dei giornalisti: una sedia dove aspettare e un bagno a disposizione! Continueremo questo sciopero ad oltranza finché le nostre richieste non saranno accolte. Per farci ascoltare potremmo anche rapire un cantante, a scelta tra quelli presenti al piano di sopra, Mikolas Josef, Vanja Radovanovic o Lea Sirk.
Ci sono stati momenti, nella storia d’Europa, pieni di sangue e di violenza. Quando sentire una lingua diversa dalla tua ti metteva paura. Il cuore ti batteva mentre ti appiattivi dietro un cespuglio, o ti nascondevi in mezzo ai rami di un albero. Trattenevi il respiro, ché neanche un soffio facesse sentire che c’eri. Un minimo rumore e una raffica di mitra potevano essere l’ultimo suono che sentivi prima di morire.
Ho molti amici stranieri. Almeno una volta l’estensione di Google Chrome ha rilevato che la mia home page di Facebook era scritta in turco. In tutti questi anni ho avuto il piacere di conoscere, attraverso l’Eurovision, gente di tutta Europa. Oggi ho vissuto un’immagine, se vogliamo anche inquietante, ma forte nei suoi contorni. Seduto sui gradini della sala stampa, guardavo Miran e Goradz, amici sloveni che parlavano con Cristina, e mi dicevo, “Parleremmo così tranquillamente se fossimo in guerra con la Slovenia?”. E al piccolo Benjamin Ingrosso, non farebbero problemi per il suo cognome, nel momento in cui fossimo in guerra con la Svezia? E a Franka Batelic che parla italiano in Croazia? E a George, o Mikhail, chiederei del canto polifonico georgiano, oppure non li guarderei con sospetto, se mi avessero insegnato a odiare lo straniero?
Avrei potuto cantare Grande Amore e De la capat a Vienna, abbracciato ad un fan romeno conosciuto quella sera in platea ai piedi del palco?
Ed ecco invece l’Eurovision Song Contest. Io VOGLIO sentire la tua voce, e VOGLIO sentire la tua bella lingua, sonorità straniere e accenti diversi che possono solo insegnarmi la vita che hai vissuto, la tristezza che hai sofferto e la gioia che hai ricevuto. Perché alla fine siamo tutti qui per imparare uno dall’altro, possiamo scambiarci la pelle perché in fondo siamo umani, e le nostre reciproche differenze sono solo le entrate diverse di una stessa casa.