Nel mezzo del “divertissement” un po’ fine a se stesso della disco-music e tra gli irriverentismi parodici della denuncia sociale, sembra che da qualche tempo stia facendo capolino un nuovo profilo dell’ESC, meno chiassosamente spregiudicato e più pacato e sentimentale.

Si tratta di un’inversione di tendenza imboccata da un già discreto numero di artisti che, armati di soli anima e microfono, contribuiscono ad emendare lo spettacolo dall’iniquo stigma di “trash” o quantomeno ad alleggerirlo da certe zavorre satiriche, spesso difficili da sostenere senza trascendere in esuberi di dubbio gusto. Freschissimi esempi ne sono la vincitrice in carica Arcade” e “Fai rumore” del nostro Diodato.

Quest’anno, tuttavia, all’interno della “nuova dimensione” dell’ESC si colloca in maniera particolare la proposta norvegese “Attention”, un brano dal taglio particolarmente introspettivo scritto e composto da Kjetil Mørland, Christian Ingebrigtsen e Ulrikke Brandstorp, con quest’ultima che la fa magistralmente propria sulla scena.

I find myself longing for attention.

I’m not myself doing what I do.

I know I may have hurt someone I love along the way, it wasn’t my intention.

I lost myself doing what I do.

I, just want your attention.

Oh, the crazy things I do.

 

So why, why do I think it’s okay,

not being me ‘cause of you?

And what do you want me to say?

What do you want me to do,

To get your attention?

‘Cause I just want your attention.

 

I fool myself just to make you happy.

And when I do, it’s all the same to you.

Oh, the crazy things I do.

 

So why, why do I think it’s okay,

not being me ‘cause of you?

And what do you want me to say?

What do you want me to do,

To get your attention?

 

Oh, I don’t wanna do this no more

If I’m the only one here on the dance floor

On the dance floor,

Oh…..!

Why?

Why do I think it’s okay,

not being me ‘cause of you?

And what do you want me to say?

What do you want me to do,

To get your attention?

‘Cause I just want your attention

Il pezzo parte con toni pacati. Il canto soffuso preannuncia un’atmosfera intimista che pian piano si disvela attraverso il racconto di una donna mortificata dalla perdita dell’autocontrollo e dell’identità personale, immolata alla ricerca delle attenzioni di un compagno indifferente. Nel tentativo di giustificarsi, forse anche agli occhi di se stessa, la protagonista prova a spiegare le proprie ragioni: “I, just want your attention”, canta Ulrikke, trascinando quell’Io in un lungo sospiro melodico che da solo dice tutto il suo rammarico. Ma l’amore, si sa, è un’altalena di emozioni, e ben presto l’afflizione cede il posto alla rabbia di non essere compresa e ascoltata. La batteria si ferma come il fiato mozzo dell’ira, lasciando che il canto si sfoghi da sé: “So why, why do I think it’s okay/Not being me ‘cause of you?/And what do you want me to say?/What do you want me to do” – sono domande retoriche, piene di un risentimento che di lì a poco si esaurisce tuttavia nell’originario bisogno di “scusarsi” per i propri errori (“To get your attention?/’Cause I just want your attention”).

Quando all’inizio della seconda strofa la batteria riprende a suonare, i toni si spengono del tutto, accompagnando l’amara presa di coscienza dell’innamorata infelice che, pur di compiacere il partner, finisce per snaturarsi e rendersi inutilmente ridicola (“I fool myself just to make you happy/And when I do, it’s all the same to you”). Il momento di lucidità riaccende però la rabbia, e mentre il ritmo incalzante del ritornello si ripropone con le stesse identiche domande della prima strofa, lo schema lirico è già ben chiaro: la quiete della riflessione e la tempesta del rancore si rincorrono in un continuo gioco di contrasti, proprio come nei marosi interiori di chiunque subisca una delusione amorosa.

Ulrikke Brandstorp – © NRK

In tempi in cui il disimpegno e il divertimento fine a se stesso muovono il consenso di un pubblico sempre più incline al rifiuto dei sentimenti, soprattutto quello particolarmente scomodo del dolore, portare in scena questi temi rappresenta senz’altro una scelta per certi versi rischiosa. È proprio dal dolore, tuttavia, che spesso nasce l’arte più vera, e Mørland sembra saperlo bene: sia “Attention” che la precedente “A Monster like me”, brano con cui gareggiò nel 2015 assieme a Debrah Scarlett, sono pezzi di rara intensità espressiva che forse non faranno la storia dell’ESC, ma difficilmente saranno dimenticati.

Con grande coraggio, Mørland si addentra negli antri più impervi della psiche umana descrivendone gli stati emotivi meno affini al gusto popolare – da una parte il dolore di una donna che cerca di spiegare all’amato il proprio disperato bisogno di sentirsi apprezzata e considerata (“Attention”), dall’altra i rimorsi di un uomo che si sente indegno della propria compagna, arrivando a definirsi “un mostro” (“A Monster like me). Al centro di entrambe le canzoni, il leitmotiv della perdita del controllo e il conseguente bisogno di trovare nel conforto del partner l’assoluzione ai propri errori.

Kjetil Mørland e Debrah Scarlett

Se però nel pezzo del 2015 questa assoluzione sembra concretizzarsi nell’abbraccio musicale del duetto, quest’anno lo “stream of consciousness” è reso ancor più suggestivo dal monologo della cantante, che nel tentativo di giustificare le “cose stupide” fatte per carpire l’attenzione di un uomo ricusante, lo incalza con una serie di domande che, però, si dissolvono nell’inesorabile indifferenza del destinatario. Gli interrogativi esplodono uno dopo l’altro in un accorato ritornello che, insistendo per tre volte, restituisce in musica l’inappagata ricerca di un dialogo. Ma l’altro non c’è, non sente, e lei, ormai stanca di rendersi ridicola in una questua infinita, conclude di non avere più voglia di ritrovarsi a “danzare da sola”.

Tra le cose più belle che ci regala la musica c’è senz’altro la possibilità di condividere sentimenti ed emozioni e di ritrovare, riflesse nelle parole e nelle melodie, le nostre stesse storie, quelle che magari da soli non saremmo mai riusciti a raccontare così bene. Ascoltando “Attention”, molti potranno immedesimarsi nella protagonista non solo per la straordinaria interpretazione della Brandstorp, ma anche perché perdere di vista se stessi cercando qualcuno è un’esperienza che l’amore comporta spesso: se la persona che amiamo si mostra improvvisamente assente, oppure non ci corrisponde, è molto difficile non cedere alla tentazione di inventarsi qualcosa che non si è nel tentativo di (ri)conquistarla. Magari comportarsi e vestirsi come la donna che lui ammira. Oppure rinunciare alle proprie passioni per compiacere una partner un po’ egoista. “Crazy things”, certo, che non portano mai al risultato sperato, ma che finiscono per minare profondamente la propria autostima. Se vi è capitato, o magari lo state vivendo proprio adesso, ascoltare “Attention” non potrà che aiutarvi a star meglio: la musica ci riflette e fa riflettere, la musica è senz’altro una delle più efficaci cure per l’anima.

Articolo scritto ed elaborato con la preziosa collaborazione di Brunella Paciulli.

Immagine di copertina: © Stijn Smulders