Il terzo episodio di Eurovision’s Decade, la speciale rubrica che raccoglie le cinque performance dell’ultimo decennio eurovisivo incentrate su particolari temi cari alla cultura dell’Eurovision Song Contest, verte oggi su quello più discusso e chiacchierato di sempre: il trash.

Spesso l’ESC viene identificato come un concorso foriero di performance di dubbio gusto, celebrative di contenuti scadenti e di basso livello culturale anziché contenitore di vere espressioni artistiche appartenenti a culture diverse della tradizione musicale europea. In altre parole viene definito “trash” che, in inglese, significa spazzatura.

Sebbene indubbiamente in passato ci siano state esibizioni non propriamente raffinate che comunque hanno trascinato il pubblico in quel divertentismo fine a se stesso, abbiamo più volte posto in evidenza come invece negli ultimi anni l’Eurovision Song Contest abbia intrapreso una nuova strada, con rappresentazioni di temi importanti, delicati, di grande impatto sociale o di riserve intimiste.

Fortunatamente, in questo terzo episodio, ci siamo dovuti impegnare per riscoprire cinque esempi del decennio 2010-2020 che portano dietro di se questo odioso retaggio.

5ª Posizione: Armenia 2011, canzone dal titolo “Boom Boom” e cantata da Emmy, pseudonimo di Emma Bejanyan. Il brano mira a descrivere una relazione amorosa, associata idealmente ad una sfida agonistica, con un refrain scadente che riporta la classica trascrizione del cuore in fibrillazione: il “boom-boom-chucka-chucka”. La rappresentazione assume connotati infantili, all’interno della quale campeggia un trono a forma di guantone sul quale siede la protagonista, che sarà poi racchiusa tra alcuni nastri dai ballerini che le costruiscono così attorno un “ring”, all’interno del quale il pretendente dovrebbe affrontarla e conquistarla. La canzone non ha superato la prima semifinale.

4ª Posizione: Francia 2014, canzone dal titolo “Moustache” cantata dai TWIN TWIN, gruppo musicale composto da Lorent Idir, François Djemel e Patrick Biyik. Il brano porta sul palcoscenico i tre protagonisti, un primo chitarrista a petto nudo con volto adornato di segni afro-tribali, un secondo che imbraccia un variopinto basso. Entrambi fanno da spalla ad un cantante con capelli sparati al cielo, indossante un’improbabile camicia a maniche corte e una cravatta gialla. Lo sfondo scenografico? Un’accozzaglia di colori con l’apparizione, nel pre-ritornello, della scritta che richiama il titolo della canzone: i famosi “moustache”. E quindi solo saltelli, a destra e sinistra, su una base dance, all’interno della quale viene espresso un solo programmatico desiderio: “voglio i baffi”. Un coro spesso stonato fa da cornice ad un brano simpatico, ma di basso livello culturale. Come noto la Francia accede di diritto alla finale e il brano si classificò nel peggiore dei modi, ultima posizione con solo due punti.

3ª Posizione: Russia 2012, canzone dal titolo “Party for Everybody” delle Buranovskie Babuški, simpatiche nonnine provenienti dalla città di Buranovo, la cui canzone è cantata proprio in lingua locale, oltre che in inglese. Le anziane signore stonano una cantilena fuoritempo ma, in virtù della veneranda età, dei tipici costumi indossati e dell’allegria profusa nel loro spontaneo balletto, hanno conquistato simpatia e grande consenso tanto da chiudere l’edizione eurovisiva nientemeno che al secondo posto, dietro soltanto alla grandissima “Euphoria” di Loreen. Il confine tra il demenziale e il divertente in questa performance è davvero labile, ma certamente le dolci nonnine coinvolgono tantissimo in quello che, in fondo, è un “Party for Everybody”.

2ª Posizione: Romania 2013, canzone dal titolo “It’s my life”, cantata da Cezar. Il cantante è protagonista e intona un falsetto dai connotati lamentosi, al verso di “It’s my life”. L’abito nero, aperto sul petto e sui cui spicca una collana con crocifisso diamantato, lo rende una sorta di pittoresco vampiro che, per mezzo di un pistone posto ai suoi piedi e nascosto da un velo di colore rosso sangue, si innalza sovrastando dei ballerini rappresentanti anime in pena, in un contesto che sembra descrivere l’inferno. L’esposizione canora, unita al generale allestimento di tutta la coreografia, assume dei connotati di scarso livello. Il brano, tuttavia, centra la finale.

1ª Posizione: Montenegro 2017, canzone dal titolo “Space”, cantata da Slavko Kalezić. Lo stesso si presenta sul palco da solo, catalizzando l’attenzione esclusivamente sulla propria persona: maglia trasparente a maniche lunghe, ampia gonna di colore blu e sguardo ammiccante. Il brano ha sonorità dance anni ’70-’80, sulle cui note Slavko balla, spogliandosi ben presto della gonna e mostrando un attillato pantalone di strass luccicanti e una lunga treccia di capelli che, durante l’esibizione, agita più volte nell’aria in senso rotatorio. “Space” è simbolo di libertà, afferma il concetto secondo cui la libera espressione debba essere incoraggiata e sostenuta e il modo di proporlo è volutamente provocatorio. L’intento, certamente positivo, è stato però probabilmente manifestato con uno stile fin troppo eccentrico e il messaggio non è giunto al pubblico. Slavko non ha raggiunto la finale ed ha vinto, purtroppo, il premio non ufficiale denominato “Barbara Dex”, che ogni anno viene assegnato all’artista che veste l’abito più brutto. In quel di Kiev noi di Eurofestival Italia abbiamo raggiunto il cantante montenegrino in una simpatica intervista, all’interno della quale lo stesso ha padroneggiato un ottimo italiano.

Voi cosa ne pensate? L’Eurovision è ancora un concorso musicale definibile “trash”?